giovedì 13 novembre 2014

Condomini morosi, ma chi paga le spese?

Il recupero dei crediti nei confronti dei condomini morosi è uno dei problemi più diffusi e più delicati e chiunque viva in un immobile situato all’interno di un condominio lo sa bene.
La questione è divenuta, negli ultimi anni, ancora più spinosa posto che, a causa della crisi economica, i condomini morosi sono aumentati e con essi, purtroppo, anche i costi per depositare un ricorso per decreto ingiuntivo e i tempi della giustizia.

Si pensi, ad esempio, all’aumento del contributo unificato e alla marca da bollo, costi vivi necessari per depositare il ricorso, nonché ai tempi di un giudizio ordinario in caso di opposizione a decreto ingiuntivo. In situazioni di morosità, dunque, si rende necessario anticipare tutto quanto dovuto dal condominio moroso e ciò al fine di evitare che le utenze e i servizi (luce, acqua, etc) vengano sospesi. In sostanza, il condomino adempiente si trova ad anticipare due generi di spese: quelle relative alle utenze e ai servizi che avrebbe dovuto corrispondere il condomino inadempiente  e quelle legali per il recupero del credito.



Proprio con riferimento a tale ultimo aspetto, ci si chiede quale sia il criterio di ripartizione delle spese legali. Al riguardo l’art. 1123 c.c. detta il criterio da seguire, ossia la ripartizione in base ai millesimi di proprietà (salvo la presenza di un convenzione sottoscritta da tutti i condomini). In sostanza, il criterio applicato dal legislatore è quello di gravare meno su chi possiede meno.
Va, tuttavia, precisato che normalmente, il Giudice condanna al pagamento oltre che del capitale e degli interessi, anche dei costi vivi e delle spese di giudizio, di conseguenza, chi ha anticipato le spese legali dovrebbe in un secondo momento recuperare dall’inadempiente tutte le somme corrisposte.

Quanto sopra vale anche per il nuovo acquirente dell’immobile che risponde anche per le pregresse spese condominiali ossia quelle relative all’esercizio antecedente all’acquisto e a quello in corso e ciò in considerazione del fatto che al successore a titolo particolare sono trasferiti oltre che i diritti derivanti dal contratto, anche tutti gli oneri, sia perché l'ob­bligo di pagamento delle spese in questione grava su ciascun condomino, ai sensi degli artt. 1104 e 1123 e seguenti c.c., per il solo fatto di avere in atto una quota di proprietà ed anzi, in ipotesi di alienazione di tale quota, si estende, in solido con il dante causa, alle spese dovute da quest'ultimo e non ancora da lui versate al momento dell'aliena­zione.

Va rilevato da ultimo che per il recupero del credito, esiste, comunque, la garanzia dell’immobile che può essere aggredito con un pignoramento immobiliare e ciò anche nel caso in cui lo stesso sia gravato da un fondo patrimoniale.

lunedì 10 novembre 2014

I rischi legati alle compravendite di immobili pervenuti per donazione o per successione testamentaria

In materia di successioni, la  legge definisce il coniuge, i figli legittimi e naturali e gli ascendenti legittimi, quali eredi legittimari ossia gli eredi che hanno diritto ad una parte determinata del patrimonio del defunto  definita  ‘quota di legittima’.
Al momento del decesso di un soggetto, dunque, si rende necessario ricostruire i beni facenti parte del suo patrimonio, così da ricostruire la c.d. ‘massa ereditaria’ e poter, successivamente, determinare la quota di spettanza di ciascun erede. Per compiere detta operazione,  si riuniscono, anche fittiziamente, i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione.
La collazione dei mobili si fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo dell'aperta successione.
Se si tratta di cose delle quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate, si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente al tempo dell'aperta successione.


Se si tratta di cose che con l'uso si deteriorano, il loro valore al tempo della aperta successione è stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano.
Va rilevato che è proprio con riferimento alle donazioni che si pongono i maggiori problemi di carattere ereditario. Capita spesso che la madre o il padre donino in vita ad uno dei propri figli un immobile senza essere consapevoli delle conseguenze giuridiche che ne possono derivare.  Infatti, con dette donazioni si vanno ad intaccare i diritti dei legittimari poiché la quota di spettanza di ciascuno di essi, a seguito della donazione, risulta essere appunto ridotta.
Il nostro ordinamento giuridico, in tale ultima ipotesi, prevede alcune forme di tutela. Più specificatamente, i legittimari sono tutelati dagli artt. 553 c.c e successivi, i quali prevedono due tipi di azioni: 
- l’azione di riduzione che è una azione tesa a far dichiarare l’inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che hanno leso i diritti alla quota legittima del legittimario;
- l’azione di restituzione che consente, ove il legittimario leso sia vittorioso nell’azione di riduzione, che lo stesso possa chiedere la restituzione dei beni oggetto della disposizione lesiva della sua quota.

Proprio per evitare successive impugnazioni, va rilevato che sovente, nella tecnica redazionale degli atti di donazione è prevista durante la stipula, l’intervento dei futuri legittimari (non donatari) per raccogliere la loro rinuncia irrevocabile al diritto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c.. Ciò che tuttavia, raramente, risulta essere chiaro è che questa rinuncia non mette al riparo i futuri acquirenti dalle azioni dei legittimari lesi poiché la rinuncia al diritto di opposizione non consente in nessun caso una rinuncia all’azione di riduzione e/o restituzione e ogni pattuizione.


In sostanza, quanto sopra, significa che se un soggetto che è divenuto proprietario di un immobile per effetto di donazione o di testamento, vende il bene in questione, è  possibile che l'acquirente dell’immobile si veda successivamente costretto a restituirlo ad un legittimario pregiudicato, dalla donazione o dal testamento, nel suo diritto alla legittima. Infatti, qualora non siano decorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione, il legittimario vittorioso nell’azione di riduzione – rimasto insoddisfatto – potrà agire per ottenere la restituzione dell’immobile nei confronti del terzo acquirente. Il terzo acquirente, in tale ultima ipotesi si troverebbe costretto a restituire l’immobile oppure a pagare l’equivalente in denaro (ex art. 563, comma 3, c.c.) ossia a corrispondere una somma di denaro necessaria a reintegrare la quota di legittima del legittimario leso, salvo la possibilità di agire in regresso nei confronti del suo dante causa (il legittimario-donatario).


Detta circostanza, inoltre, assume rilievo anche nel caso in cui un soggetto terzo acquirente di un immobile proveniente da donazione, dopo aver sottoscritto un contratto preliminare, si rechi successivamente presso un istituto bancario al fine di richiedere un finanziamento necessario per l’acquisto dell’immobile oggetto del preliminare. In detta ultima ipotesi, infatti, proprio per le ragioni sopra indicate, l’istituto di credito potrebbe rifiutarsi di concedere il prestito.

lunedì 3 novembre 2014

Sentenza Cassazione: nessun pignoramento su prima casa da Equitalia

La Corte di Cassazione, con la sentenza 19270/2014 depositata in cancelleria lo scorso 12 settembre, stabilisce che Equitalia non potrà più pignorare la prima casa con valore retroattivo. A prescindere dalla data di entrata in vigore del provvedimento, non ci potrà essere alcun pignoramento, neppure per quanto riguarda i casi precedenti.

Nel dettaglio, la sentenza della Corte di Cassazione afferma che "dal momento che la norma disciplina il processo esecutivo esattoriale immobiliare, e non introduce un’ipotesi di impignorabilità sopravvenuta del suo oggetto, la mancanza di una disposizione transitoria comporta che debba essere applicato il principio per il quale, nel caso di successione di leggi processuali nel tempo, la nuova norma disciplina non solo i processi iniziati successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche i singoli atti di processi iniziati prima".
Il  D.L. 69/2013 ( il cosiddetto Decreto del Fare), entrato in vigore il 22 giugno 2014, aveva introdotto il divieto di procedere al pignoramento immobiliare da parte di Equitalia solo se l’immobile è: l’unico di proprietà del debitore, è adibito ad abitazione principale, è abitato dal debitore con la sua famiglia e, infine, non è considerato un immobile di pregio o di lusso ( categorie catastali A/8 e A/9), ma non aveva valore retroattivo.


Con la sentenza 19270/2014 la Cassazione ha esteso, quindi, la protezione sulla prima casa a tutti i procedimenti esecutivi in corso e antecedenti all’introduzione della norma.

Per richiedere informazioni o consulenze: www.studiolegalepuce.it