In materia di successioni, la legge definisce il
coniuge, i figli legittimi e naturali e gli ascendenti legittimi, quali eredi
legittimari ossia gli eredi che hanno diritto ad una parte determinata del
patrimonio del defunto definita ‘quota di legittima’.
Al momento del decesso di
un soggetto, dunque, si rende necessario ricostruire i beni facenti parte del suo
patrimonio, così da ricostruire la c.d. ‘massa ereditaria’ e poter,
successivamente, determinare la quota di spettanza di ciascun erede. Per
compiere detta operazione, si riuniscono,
anche fittiziamente, i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione.
La collazione dei mobili si
fa soltanto per imputazione, sulla base del valore che essi avevano al tempo
dell'aperta successione.
Se si tratta di cose delle
quali non si può far uso senza consumarle, e il donatario le ha già consumate,
si determina il valore che avrebbero avuto secondo il prezzo corrente al tempo
dell'aperta successione.
Se si tratta di cose che
con l'uso si deteriorano, il loro valore al tempo della aperta successione è
stabilito con riguardo allo stato in cui si trovano.
Va rilevato che è proprio
con riferimento alle donazioni che si pongono i maggiori problemi di carattere
ereditario. Capita spesso che la madre o il padre donino in vita ad uno dei
propri figli un immobile senza essere consapevoli delle conseguenze giuridiche
che ne possono derivare. Infatti, con
dette donazioni si vanno ad intaccare i diritti dei legittimari poiché la quota
di spettanza di ciascuno di essi, a seguito della donazione, risulta essere
appunto ridotta.
Il nostro ordinamento
giuridico, in tale ultima ipotesi, prevede alcune forme di tutela. Più
specificatamente, i legittimari sono tutelati dagli artt. 553 c.c e successivi,
i quali prevedono due tipi di azioni:
- l’azione di riduzione che è
una azione tesa a far dichiarare l’inefficacia delle
disposizioni testamentarie e delle donazioni che hanno leso i diritti alla
quota legittima del legittimario;
- l’azione di restituzione
che consente, ove il legittimario leso sia vittorioso nell’azione di riduzione,
che lo stesso possa chiedere la restituzione dei beni oggetto della
disposizione lesiva della sua quota.
Proprio per evitare successive impugnazioni, va rilevato che sovente, nella
tecnica redazionale degli atti di donazione è prevista durante la stipula,
l’intervento dei futuri legittimari (non donatari) per raccogliere la loro
rinuncia irrevocabile al diritto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c.. Ciò
che tuttavia, raramente, risulta essere chiaro è che questa rinuncia non mette al riparo i futuri acquirenti dalle azioni dei legittimari lesi poiché la rinuncia al diritto di
opposizione non consente in nessun caso una rinuncia all’azione di riduzione
e/o restituzione e ogni pattuizione.
In sostanza,
quanto sopra, significa che se un soggetto che è divenuto proprietario di un
immobile per effetto di donazione o di testamento, vende il bene in questione,
è possibile che l'acquirente dell’immobile
si veda successivamente costretto a restituirlo ad un legittimario
pregiudicato, dalla donazione o dal testamento, nel suo diritto alla legittima.
Infatti, qualora non siano
decorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione, il
legittimario vittorioso nell’azione di riduzione – rimasto insoddisfatto – potrà agire per ottenere la
restituzione dell’immobile nei confronti del terzo acquirente. Il terzo
acquirente, in tale ultima ipotesi si troverebbe costretto a restituire l’immobile oppure a pagare l’equivalente in denaro (ex
art. 563, comma 3, c.c.) ossia a corrispondere una somma di denaro necessaria a
reintegrare la quota di legittima del legittimario leso, salvo la possibilità
di agire in regresso nei confronti del suo dante causa (il
legittimario-donatario).
Detta circostanza, inoltre, assume rilievo anche nel caso in cui un
soggetto terzo acquirente di un immobile proveniente da donazione, dopo aver
sottoscritto un contratto preliminare, si rechi successivamente presso un
istituto bancario al fine di richiedere un finanziamento necessario per
l’acquisto dell’immobile oggetto del preliminare. In detta ultima ipotesi,
infatti, proprio per le ragioni sopra indicate, l’istituto di credito potrebbe
rifiutarsi di concedere il prestito.
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